Leadership, talento e diversità: principi e pratiche per l'inclusione efficace con Jason Cox, IKEA

Indice
Come trasformare ogni persona in un leader? Quali competenze servono davvero per valorizzare talenti nascosti e gestire le diversità come leva strategica per il successo dei team?
Ne abbiamo parlato con Jason Cox, Global Head of Leadership & Competence di IKEA, protagonista di un percorso internazionale che negli ultimi anni lo ha visto impegnato a sviluppare pratiche di leadership diffusa, inclusione e people empowerment in una delle aziende più iconiche al mondo.
In IKEA, Jason ha contribuito a trasformare la cultura della leadership attraverso il modello Leadership by All, promuovendo l’imprenditorialità e la responsabilità diffusa in ogni livello dell’organizzazione.
Questa intervista fa parte di Learner Leaders, la rubrica che dà voce ai protagonisti delle risorse umane e dello sviluppo organizzativo, per offrire idee e best practice a chi guida l’evoluzione delle persone nelle aziende di oggi e di domani.
Buona lettura!

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La leadership che generare innovazione e responsabilità condivisa
Parliamo di Leadership by all. Qual è il tuo pensiero su questo principio e come si concretizza nel tuo approccio? Puoi condividere esempi che hanno fatto la differenza nella tua esperienza?
L’idea della leadership in IKEA si chiama Leadership by All e si è sviluppata negli ultimi 4 anni. Quest’idea ci muove da una leadership di pochi ad una di tutti. Spingiamo perché tutti si sentano di poter esercitare uno spirito imprenditoriale, assumendosi la responsabilità di un’azione, un’idea o una direzione. Questa si fonda sulla fiducia reciproca e la voglia di guidare assieme. Ogni persona può fare la differenza e questo è sempre stato un nostro tratto distintivo: alcune delle migliori idee che hanno rivoluzionato il mercato globale del mobile vengono da dipendenti che nel fare il loro lavoro hanno avuto un’idea, hanno alzato la mano e detto: secondo me così è meglio. È così che è nato il primo pacco piatto, è così che è nata la capiente e indistruttibile borsa blu ed è così che è nato il concetto di self-service di mobili. Il mio approccio alla leadership è molto fondato sulla leadership by all – peraltro molto simile al concetto di leadership collettiva o partecipativa - perché sono molto consapevole dei miei limiti, ma dal momento che questi non sono uguali ai limiti dei miei colleghi posso raggiungere risultati migliori con il loro contributo, le loro idee e la loro prospettiva. Ho sempre creduto in una leadership con meno ego e più interazione. Interazione e collaborazione non significa però semplicemente prendere una decisione e poi presentarla al gruppo chiedendone un parere, ma significa invitare le persone nel processo decisionale, in modo che il loro contributo possa esserci quando le condizioni lo permettono, sin dall’inizio.
Il talento nascosto: come riconoscerlo, coltivarlo e valorizzarlo
Come possiamo valorizzare il talento nascosto in un team? Quali strategie hai adottato per individuare e coltivare il potenziale inaspettato?
Il talento è una dimensione complessa, contemporaneamente intangibile e applicativa. Si mescola con attitudine e volontà, rendendosi difficile da individuare in purezza.
Ma cos’è davvero il talento e come si relaziona al potenziale? Gran parte delle mie riflessioni prende spunto dall’eccellente lavoro di Luk Dewulf. Definiamo il talento come la capacità naturale di fare qualcosa, legata a schemi di pensiero e azione sviluppati naturalmente a un livello più alto.
"In un mondo ossessionato dal talento, molti credono che le persone più promettenti siano quelle le cui qualità spiccano sin dall’inizio."
Eppure il talento non basta da solo. Per trasformarsi in valore reale, ha bisogno di tre elementi chiave: talento, comportamento e contesto. Posso avere un talento evidente, ma se non sviluppo i comportamenti giusti o non mi trovo nel contesto adatto, quel talento rischia di non emergere mai.
Il talento, inoltre, prende forma nella relazione con l’altro: esiste davvero solo quando viene riconosciuto e valorizzato. È quello che ci permette di portare a termine un’attività senza sforzo e senza spreco di energia. Tutti ne hanno uno, ma ne diventiamo consapevoli solo quando qualcuno ce lo fa notare.
Ecco perché una delle responsabilità più grandi del leader è proprio quella di notare, riconoscere e rendere visibile il talento, in modo chiaro e dichiarato. Ma il talento, per non spegnersi, ha bisogno di essere sfidato. Ha bisogno di azioni, di contesti stimolanti e di obiettivi che lo facciano crescere.
Un team efficace è quello che conosce i talenti dei suoi membri e li fa emergere nei momenti più opportuni. La diversità di talenti amplia la capacità di adattamento del team, mentre la similitudine ne rafforza la specializzazione, ma ne limita l’ampiezza di espressione.
Per questo è importante sistematizzare la ricerca dei talenti, partendo da una credenza costruttiva:

Questo richiede osservazione attiva, mappatura dei talenti e creazione di contesti diversi per farli emergere.
Ricordo, ad esempio, quando ho affidato una presentazione importante a un collaboratore, uscendo dalla mia zona di comfort. Quella sfida ha fatto emergere un talento inatteso nella semplificazione e nella sintesi, che oggi è diventato un valore riconosciuto e condiviso all’interno del team.
La gestione delle differenze: da sfida a leva strategica per i team
Quali qualità ritieni imprescindibili in una leadership capace di adattarsi e rispondere alle esigenze di team multiculturali e intergenerazionali?
Il tema del “diverso da me” è uno degli aspetti più stimolanti e complessi per chi guida un team.
Qualunque sia la dimensione della diversità — generazionale, etnica, comportamentale o valoriale — il punto di partenza resta sempre lo stesso: le diversità arricchiscono, ma creano inevitabilmente delle tensioni.
Il vero leader è colui che accoglie questa sfida e si impegna a gestire i problemi che ne derivano, senza eliminarli o ignorarli.
La gestione efficace delle diversità richiede di mantenere le unicità delle persone, lavorando però per unificarle in un gruppo coeso — quello che la teoria dell’identità sociale di Tajfel definisce “in-group”.
Questo processo chiama il leader a un compito cruciale: controllare i propri pregiudizi inconsci e aiutare il team a fare lo stesso, attraverso soft skill chiave come:
empatia,
ascolto attivo,
feedback continuo.
Solo così è possibile mediare tra punti di vista diversi, stimolando inclusione e collaborazione reale.
Ma attenzione: questa attività richiede molta energia e il rischio di sovraccarico emotivo è sempre dietro l’angolo. Per questo il leader deve saper gestire anche le proprie fatiche, evitando il burnout che rischia di trasformarsi in comportamenti negativi verso il team.
Perché alla fine, fare il leader è un mestiere duro, ma è l’unico modo per farlo davvero bene.
Inclusione consapevole: proteggere la diversità senza omologare
La leadership inclusiva è fondamentale per valorizzare la diversità e creare ambienti di lavoro realmente equi. Nella tua esperienza, quali competenze un leader dovrebbe avere in questo ambito?
Includere non significa omogeneizzare. Tutti i team, per loro natura, tendono a conformarsi e normalizzare i comportamenti. Il rischio è che la diversità si perda lungo la strada.
Per questo il leader inclusivo ha un compito chiave: fare spazio all’interno del team per l’elemento diverso, difendendone l’unicità nonostante la pressione normalizzante degli altri e il desiderio di uniformarsi di chi è diverso. È un lavoro che richiede una vera vocazione umanistica. Il leader deve proteggere l’espressione delle diversità, mentre lavora per convincere il team del valore che da esse può derivare.
Un processo che inevitabilmente crea frizioni, attriti, momenti di ridefinizione di fiducia e appartenenza. Effetti naturali e prevedibili, che il leader deve saper osservare, accettare e disinnescare.
Porto un esempio concreto. In un team ho lavorato con Marco (nome di fantasia), una persona con una naturale inclinazione a vedere il bicchiere mezzo vuoto. Spesso, Marco non vedeva nemmeno il bicchiere.
Questa sua visione cozzava con l’atteggiamento positivo e ottimista del resto del team. Le pressioni erano forti, e più di una volta il gruppo ha provato a “espellerlo” come elemento di disturbo.
Il lavoro importante è stato valorizzare la sua capacità critica, che bilanciava la leggerezza con cui il team tendeva a sottovalutare i problemi. Quando il team ha iniziato a riconoscere il valore di questo punto di vista, ha visto in Marco una guida preziosa nei momenti critici.
Allo stesso tempo, Marco, sentendosi sempre più riconosciuto, ha iniziato a modulare il proprio contributo in modo più costruttivo e digeribile per il gruppo.
La diversità stava arricchendo il team, ma senza mai snaturare l’identità di Marco, perché se avesse ceduto alla pressione di uniformarsi, avremmo perso proprio il valore che volevamo proteggere.
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